Le montagne sul Lago. Il Monte di Mezzo di Campotosto


Giovedì pomeriggio arriva una chiamata di Luca che suona così: uscita sabato mattina prestissimo alla volta del Monte di Mezzo e ritorno a Roma verso ora di pranzo, escursione extra-lampo per essere presto di ritorno a casa. Tutto sommato si può fare, anche se sappiamo che non ci sarà spazio per lunghe soste contemplative come da tradizione. E così sabato alle 5 già siamo in autostrada a raccontare delle ultime uscite fatte o non fatte e valutare quale via di salita intraprendere per l’escursione odierna: dalla diga sul Rio Fucino e quindi per il Coppo, oppure da un canalino già fatto da Doriano in inverno che porta proprio sotto al Colle del Vento o, ancora, dal piazzale dell’albergo abbandonato a mezza costa andando verso Campotosto; optiamo per quest’ultima anche perché desiderosi di fare una bella passeggiata nel bosco sicuramente umido della pioggia di ieri e della notte. Prima di arrivare però abbiamo modo di sostare un paio di volte lungo la strada che sale a Campotosto per ammirare i colori dell’alba che tingono le sagome ancora cupe del Gran Sasso: sono tutte lì, Corno Grande, Intermesoli e Corvo, allineate e perfettamente visibili al di sopra della fitta coltre di nebbia che occupa l’intero fondo valle. Ecco, questi scorci mattutini hanno da soli già ripagato l’impegno di essersi alzati prestissimo. Dal parcheggio dell’albergo abbandonato facciamo mente locale sulla direzione da tenere per sbucare dove comincia la dorsale che, al di sopra delle faggete, ci porterà alle prime elevazioni orientali della Laga. Silenziosi ci infiliamo nel bosco calcando una traccia di sentiero che molto presto si dissolverà. Per precauzione attivo il GPS a garanzia di non divergere dal percorso quando saremo sulla via del ritorno; la boscaglia è fittissima e la sotto sembra che il sole debba ancora sorgere; si procede a vista verso nord-ovest alla ricerca della cresta. Oltre all’ecomostro che ci siamo lasciati alle spalle, proprio all’inizio del sentiero, tra la vegetazione, emergono le tracce di una speculazione rimasta incompiuta prima che divenisse vera e propria devastazione ambientale: piantane di cemento, qua e la a terra tralicci di un impianto di risalita che non ha mai visto sciatori, una condotta per l’acqua ed altro ancora … Rimaniamo dentro al bosco per un’ora buona salendo in diagonale senza però incontrare radure da cui poter fare il punto della situazione; l’altimetro continua a salire e a quota 1.750 capiamo di aver intercettato finalmente la cresta anche se siamo finiti un poco oltre il punto che ci eravamo figurato sulla cartina: infatti la dorsale erbosa che anticipa il Colle del Vento spunta ora alle nostre spalle tra i rami degli ultimi faggi. Poco male, adesso l’obiettivo è a vista e tutto sommato abbiamo allungato di poco. Decidiamo di passare prima per la Montagnola camminando in piano e lasciandoci le prime elevazioni alla nostra sinistra: ci sono tracce di sentiero e non pochi sali-scendi per attraversare i solchi dei torrenti stagionali che anche qui abbondano come nel resto della Laga. Erba alta e scivoli grigi di arenaria si alternano mentre la Montagnola è sempre più vicina; arriviamo per le 9 circa e facciamo una breve sosta con qualche foto accovacciati vicino piccolo dolmen che segna questa cima secondaria comunque immersa in uno scenario solenne. Il Monte di Mezzo è molto vicino, questione di dieci minuti e siamo arrivati; fortunatamente la nubi che lambivano poco prima la nostra meta si sono diradate e stanno addensandosi sul versante teramano così che il panorama sul lago che ci si presenta è molto aperto, siamo stati proprio fortunati visto che saremmo potuti salire su senza riuscire a vedere l’orizzonte! Sul Monte di Mezzo niente croce, c’è solo un ometto abbastanza grande al quale abbiamo comunque apportato il nostro contributo facendolo crescere di qualche altro centimetro, un autoscatto celebrativo e poco dopo siamo sulla via del ritorno lungo la dorsale che scende al Colle del Vento e poi ancora più giù fino a tuffarsi nella fitta boscaglia. Gli scorci sul lago ci accompagnano lungo tutto il cammino mentre dal lato opposto il Gran Sasso è ormai completamente avvolto dalle nubi a segno che il previsto peggioramento meteo si sta avvicinando; unica nota stonata in questo contesto tutto naturalistico è la traccia di pneumatici da fuori strada di una moto che deve aver percorso l’intera cresta - tanto tanto avrei capito salire a cavallo ma in motocross grida proprio vendetta! Giunti al limitare del bosco notiamo un grosso masso con delle incisioni che sembrano datate, chissà se di pastori o … briganti post-moderni? Per l’ultimo tratto della discesa decidiamo di tagliare un pò rispetto al girovagare non sempre lineare che abbiamo tenuto all’andata: qui il buon GPS ci aiuta non poco visto che il bosco è tutto uguale in ogni direzione e potremmo anche rischiare di scendere troppo corti o andare lunghi oltre il parcheggio da cui eravamo partiti; nessun pericolo certo ma magari un pò di strada a vuoto, quella sì che avremmo potuto farla. La discesa sembra durare un attimo ed in men che non si dica arriviamo di nuovo in vista dell’ecomostro, sono circa le 11.30 quando ci liberiamo dagli scarponi che questa volta hanno macinato … solo undici chilometri. Bello comunque … anche se forse siamo stati più tempo a viaggiare in auto che a camminare! In chiusura vorrei spendere una breve considerazione - di certo inutile ed ovvia ma, tant’è la voglio fare lo stesso - sull’enorme struttura in abbandono che domina il lago. Certo che i devastatori ambientali ebbero occhio lungo e la location l’avevano scelta proprio bene: praticamente guardando il panorama da ogni parte del lago la grigia struttura emerge dal bosco a fare bella mostra di se! Oggi la costruzione è un vero e proprio vulcano di rifiuti in piena attività: vetri, divani, porte, materassi e cuscini sono stati proiettati al di fuori! Un’eruzione di manufatti davvero impressionante. Guardando quell’enorme struttura (solo sulla facciata antistante al piazzale si contano 40 stanze e 6 mansarde) con Luca ci siamo chiesti quale ottimistica previsione di sviluppo turistico possa aver portato a concentrare in un solo luogo una capacità ricettiva che da sola è forse superiore a quella di tutti i paesini distribuiti lungo le coste del lago! Avrebbero di certo sbancato anche un bel pezzo di montagna per fare piste da sci sufficientemente attrattive per così tanti visitatori. E ora che sarà di tanto ferro e cemento? Una sola certezza: si lascerà anche questa volta alla natura il compito di rimarginare la ferita e auguriamoci che così, tra mille anni, questo luogo possa assomigliare un pò ai resti di certe civiltà precolombiane inghiottite dalle foreste tropicali.